Goethe avrebbe definito “affinità elettiva” il profondo legame che univa san Francesco e santa Chiara. Uno scegliersi che non era dettato da carne e sangue bensì da qualcosa di incommensurabilmente più alto, il fine vero dell’esistenza umana, ciò che spiega ogni affannosa ricerca, ogni caduta e ogni conquista dello spirito.
Anche il giovane Francesco, come è facile immaginare, dovette essere imbevuto di “amore cortese” in cui l’amore casto verso la donna, bellezza ideale e fonte di ogni virtù, costituiva il mezzo necessario per raggiungere un alto grado di elevazione spirituale; Chiara, dal canto suo, dovette essere lei stessa un vaso colmo di bellezza, tenerezza, sensibilità, doti affinate dalla pazienza e dalla premura di cui diede manifestazione in tutta la sua esistenza.
Da quello che le fonti ci tramandano, pochissime furono le parole che i due si scambiarono eppure san Francesco nutriva immenso amore per la sua “pianticella” (così aveva definito santa Chiara), tanto che quando ormai consumato dalla sofferenza e in punto di morte intonerà a Chiara che gli sta accanto il mirabile Cantico delle Creature in cui, proprio la descrizione di “sora Acqua, utile et humile et preziosa et casta” sembrano suggerire a noi l’immagine della santa. Chiara che, fanciulla agiata, nel pieno della giovinezza, lascia la spensieratezza e l’idea di una famiglia e di un matrimonio tranquillo per seguire Francesco: un eccentrico, un pazzo, un uomo libero, un innamorato di Dio, e consacra la sua anima a Gesù, insieme a lui, rimanendo entrambi un uomo e una donna ricchi soltanto dell’Amore immenso a cui attingono e sifanno latori, per tutta l’Umanità. Ed ecco che l"Amor che a nullo amato amar perdona", acquista la sua forma più fulgida e gioiosa, regalando la consapevolezza che l’Amore è sempre e solo fonte di felicità, anche quando attraversa e tocca, cura e comprende tutte le sofferenze dell’umanità in cammino.